Nel 2021 il giro di investimenti realizzato in Italia nel settore dell'intelligenza artificiale ha toccato quota 380 milioni di euro, cifra che aggiunge un altro tassello al trend di crescita che prosegue ormai dal 2018. Ma è tanto o poco il valore di questo business? E inoltre, a che punto sono in termini di sviluppo di intelligenza artificiale le imprese italiane? Sono state queste alcune delle domande a cui gli esperti del settore hanno cercato di rispondere durante la seconda giornata della tre giorni «Gli Stati Generali 2022 dell'Intelligenza Artificiale» organizzata da Class Editori.

In merito al peso degli investimenti Stefano Garavaglia, ricercatore senior dell'Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, ha sottolineato come il valore sia tutto sommato ridotto rispetto ad altri trend tecnologici. «C'è spazio per crescere: lo scorso anno il 59% delle grandi imprese ha avuto all'attivo un progetto inerente all'Ai, ma non tutte le aziende conoscono bene i benefici dell'intelligenza artificiale e alcune risultano ancora troppo poco digitalizzate per affrontare questa rivoluzione. Solo il 6% delle pmi ha all'attivo un progetto sul settore», ha aggiunto Garavaglia esponendo gli ultimi dati che, insieme a quello sui 380 milioni, scaturiscono dall'ultimo report sull'Ai dell'Osservatorio del Politecnico di Milano.

A raccontare la loro esperienza sono state grandi aziende e piccole e medie imprese che hanno fatto dell'Ai parte integrante dell'attività, se non addirittura il core business. Tra queste ad esempio Eni, il cui head of Ai technology solutions, Giuseppe Magurno, ha spiegato quali siano i benefici che l'azienda trae dalle nuove tecnologie. «L'area di maggior sviluppo è quella dell'intelligent data process, utile per migliorare le stime produttive. Un altro ambito di applicazione è poi la manutenzione predittiva per prevedere anticipatamente quali impianti dovranno essere sistemati, minimizzando i tempi di fermo. Importante anche la creazione di algoritmi che aiutino a ridurre i rischi operativi per i colleghi che lavorano negli impianti», ha raccontato Magurno. A fornire servizi di Ai è invece Vedrai, l'azienda milanese che si rivolge soprattutto alle pmi. «Decidere utilizzando dati interni alle società non è più sufficiente, bisogna guardare all'esterno. Vedrai ha l'obiettivo di sfruttare l'Ai per supportare i manager nei processi decisionali», ha raccontato Renato De Marco, presales manager. Ancora diversa è la realtà bergamasca Orobix, la cui parola d'ordine, ha spiegato il fondatore Pietro Rota, «è concretezza». L'azienda utilizza infatti le tecniche dell'Ai nel campo manifatturiero e nel controllo qualità, rivolgendo i propri servizi alle pmi, ritenendole realtà dinamiche sempre pronte alla sperimentazione.

Azioni concrete hanno però bisogno a loro supporto di teorie solide e di strumenti di ricerca strutturati. Un esempio è Ellis (European Laboratory for Learning and Intelligent Systems), il progetto che coinvolge diversi paesi europei e che si è posto l'obiettivo di creare una rete in grado di fare ricerca condivisa. A raccontare il ruolo che i poli universitari milanesi svolgono nel progetto sono stati Nicolò Cesa-Bianchi, professore e ricercatore dell'Università degli Studi di Milano, Gabriella Pasi, direttore del dipartimento di Informatica dell'Università degli Studi di Milano Bicocca, Nicola Gatti, docente di Intelligenza Artificiale al Politecnico di Milano e Riccardo Zecchina, professore di Fisica Teorica presso l'Università Bocconi. Ogni ateneo è entrato a far parte di Ellis con le proprie skill, che nei casi milanesi variano dall'Ai applicata al settore sanitario, a quello del computer vision o dell'analisi del linguaggio. A fronte di questi sviluppi il mondo inizia a chiedersi se l'Ai soppianterà alcuni lavori. Secondo Marco Bentivogli, co-fondatore di Base Itala, esisteranno sempre delle attività che non sono sostituibili. Le macchine agiranno sempre a servizio e non in sostituzione dell'uomo.

red

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3008:00 mar 2022

 

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