MILANO (MF-NW)--A prima vista, un controsenso: perché gli impianti, in particolare offshore (in mezzo al mare), crescono come non è mai avvenuto prima. Ma allo stesso tempo, le società che realizzano centrali eoliche o producono pale e turbine "soffrono" come mai era avvenuto da quando è iniziato il processo di transizione energetica, che spingerà il mondo da una economia dominata dai combustibili fossili alle rinnovabili. In buona sostanza: da un lato prosegue la corsa inarrestabile a livello industriale, con record battuti per crescita di produzione installata. Ma, allo stesso tempo, le società del settore vedono crollare i loro profitti o le quotazioni di Borsa.

Com'è potuto accadere? Il fenomeno si spiega meglio se si prendono in esame alcuni esempi. Tutti delle ultime settimane. Uno dei casi più eclatanti riguarda il gruppo danese Orsted, numero uno al mondo nell'eolico offshore, si legge su Affari&Finanza di Repubblica. Di proprietà dello Stato scandinavo, è passato dalla produzione di idrocarburi allo sviluppo delle rinnovabili. Il primo novembre scorso, le azioni di Orsted alla Borsa di Copenaghen sono crollate fino a perdere il 26%, dopo l'annuncio della perdita "monstre" di 4 miliardi di dollari, per aver interrotto i lavori di due grandi progetti al largo delle coste del New Jersey.

Così come altri progetti, dal Mare del Nord in Europa al Mar Cinese in Asia, l'industria dell'eolico off shore è stata colpita da un "combo" di condizioni negative. Al primo posto l'interruzione delle catene di approvvigionamento, causata dalla guerra commerciale tra le grandi potenze per le forniture delle materie prime necessarie per la produzione di impianti rinnovabili. Al secondo posto, l'aumento dei costi di materiali e tecnologie. Per arrivare al terzo punto, il peso degli interessi finanziari, saliti con le manovre anti-inflazione delle banche centrali.

Sono proprio le ragioni che hanno portato Orsted a cancellare i progetti negli Stati Uniti e che hanno amplificato le perdite in Borsa: il gruppo danese ha subito un calo di capitalizzazione del 60 per cento da inizio anno. Così com'è avvenuto sempre nelle ultime settimane a Bp, che ha dovuto svalutare per 540 milioni due progetti al largo di New York. Nonostante tutto ciò - e qui sta la grande contraddizione - l'amministratore delegato di Orsted, Mads Nipper, ha presentato al mercato un terzo trimestre molto positivo dal punto di vista dei numeri, con un utile netto di 5,9 miliardi di corone (quasi 8 miliardi di euro). Così Nipper ha potuto sostenere - come riportato dal Financial Times - che "le capacità di generare utili da parte della società rimangono solide".

Non meno diverso da quanto accaduto in Asia, protagonisti uno dei colossi della transizione energetica made in Cina. Goldwind Science&Technology, il più grande produttore di turbine eoliche, ha visto gli utili dell'ultimo trimestre cadere addirittura del 98% (a 1,3 milioni di dollari) a causa non tanto del calo della domanda, quanto piuttosto per la guerra dei prezzi tra i leader. E ciò nonostante la vendita dei primi nove mesi dell'anno sia arrivata a 8,9 Gw, il 25% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.

In buona sostanza, cosa è accaduto in Cina? La più grande delle economie asiatiche, decisa a sfidare gli Stati Uniti per il predominio economico mondiale, ha varato un grande piano per tagliare le emissioni inquinanti affidandosi alle tecnologie green. Questo ha portato non solo a un aumento degli impianti rinnovabili, ma ha causato una competizione sempre più feroce tra i vari produttori, causando una guerra dei prezzi che ha portato all'inevitabile svalutazione degli asset e dei valori di carico nei bilanci.

Una spirale negativa che non sta risparmiando i grandi gruppi del settore anche in Europa, dai costruttori come Siemens, ricorso a garanzie di Stato per salvaguardare i propri progetti, alle utility come Vattenfall e Iberdrola. Questo non significa che la transizione abbia segnato una battuta d'arresto. Secondo l'Agenzia internazionale dell'energia, nel corso del 2023 verranno aggiunti 500 Gw di generazione rinnovabile, dove il solare avrà il peso maggiore. Mentre l'eolico sarà il settore a subire le perdite più rilevanti: del resto, a inizio anno il Wind Energy Council aveva messo tutti sull'avviso: il 2023 sarà il primo anno a superare i 100 Gw di nuova capacità eolica installata, ma saranno necessari «interventi urgenti da parte delle istituzioni per garantire una catena di approvvigionamento sicura e puntuale".

Morale: le difficoltà si ribaltano sui risultati in Borsa, con un calo delle quotazioni che ha accelerato nella seconda metà dell'anno: l'indice S&P Global Clean Energy è sceso del 30% nel primo semestre dell'anno, mentre nello stesso periodo il S&P Energy è andato in controtendenza, mostrando un segno positivo. A detta degli esperti, è una battuta d'arresto, inevitabile in un periodo di transizione. La decisione di andare verso le energie pulite non viene messa in discussione: anche perché sta creando nuovi posti di lavoro, ben retribuiti, nel settore manifatturiero, navale e nelle infrastrutture in misura superiore a quelli che si perdono nel settore dei fossili. Il piano verso la green economy è sempre più inclinato.

cos

 

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November 13, 2023 02:53 ET (07:53 GMT)

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