Di Roberto Sommella

Fare soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive, chiedo scusa non ne ho viste. Un celebre incipit di Giorgio Bocca in Miracolo all'italiana descriveva perfettamente il Paese che si era rialzato dalle macerie della guerra ed entrava nella civiltà dei consumi. Era l'Italia dell'odore della fabbrica, dell'unico vestito buono, del primo frigorifero, di Rocco e i suoi fratelli, dell'auto a rate e della Borsa con le sue grida e gli operatori che si trovavano infreddoliti nei bar poco prima della discesa nell'arena. L'ascesa fu tumultuosa, senza paragoni nel mondo libero. Nei primi anni '50 su 12 milioni di famiglie 4 non acquistavano mai carne e tre solo una volta alla settimana. Già nel 1958 una famiglia su dieci possedeva un televisore, nel 1965 una su due. Nel 1948 erano un miracolo le semplici biciclette, nel 1965 sarebbe diventata diffusa l'automobile, divenuta femmina grazie all'intuizione di Gabriele D'Annunzio: cinque milioni e mezzo di pezzi. Tutta Italia si mise in cammino e con essa il listino, celebrato persino in una famosa canzone di Lucio Dalla in cui da Bastogi in giù il cantautore leggeva semplicemente il nome delle azioni quotate.

Vennero poi le crisi petrolifere, lo sboom, l'inflazione, gli anni di piombo, l'avvento dei Bot people, la Milano da bere, le privatizzazioni, Mani Pulite, Maastricht. L'Italia in 30 anni cambiò più volte faccia, politica e tessuto sociale.

Quello che sta accadendo nel terzo anno dallo scoppio della pandemia: aumento delle disuguaglianze, dematerializzazione dei rapporti umani e finanziari, fascinazione per le criptomonete, il casinò che ha contagiato almeno 6 milioni di cittadini, più di quelli che hanno Btp in tasca. In questo triennio, scrive MF-Milano Finanza, la Borsa -pur diventata europea e ritornata italiana per la parte milanese- ha perduto 14 miliardi di capitalizzazione, ma nel solo 2022 le opa per delisting (si veda articolo a pagina 8) hanno cancellato oltre 40 miliardi di valore. Eppure Euronext rappresenta quel mercato unico dei capitali che si affianca alla moneta unica e all'Unione fiscale che forse verrà. Perché tanta disaffezione? I motivi sono principalmente tre: mancanza di popolarità sia tra le aziende che vorrebbero quotarsi sia tra i risparmiatori che vorrebbero diventare azionisti, innumerevoli paletti burocratici che la Consob è costretta ad imporre, Fisco poco clemente con Piazza Affari rispetto alla esagerata benevolenza verso l'evasione che il governo Meloni ha dimostrato per il contante e le cartelle da stralciare.

Tutto perduto? Giancarlo Giorgetti, ministro dell'Economia e uomo che proviene da quella tradizione lavoratrice e operaia lombarda descritta da Bocca, non dispera. "Teniamo molto alla partecipazione dei risparmiatori italiani all'acquisto del debito pubblico del Paese. Infatti la partecipazione, che è stata condizionata negli anni sia dalla dinamica dei rendimenti sia dall'evoluzione del mercato finanziario, ha aumentato l'offerta di prodotti di risparmio e investimento per i cittadini", ha detto alla Camera presentando la manovra per il 2023. Ma dal Btp all'azione il passo è ancora troppo lungo. Fino alla fine degli anni '80 gli alti tassi di inflazione e i conseguenti elevati rendimenti offerti dai titoli di Stato, uniti all'ancora poco sviluppato mercato finanziario domestico, facevano sì che la percentuale di debito pubblico detenuto dai risparmiatori domestici fosse superiore al 20% del totale.

Poi la discesa dei rendimenti conseguente al controllo della dinamica dei prezzi e alla convergenza nell'area dell'euro, accompagnata alla continua crescita del debito pubblico nel suo complesso, ha prodotto una continua e marcata discesa di tale percentuale di partecipazione, fino al 6,4% nel 2021: piace di più persino il bitcoin. Questa fuga dai Buoni del Tesoro non è confluita in Borsa. Il problema da risolvere, dall'equazione complessa, è tutto qui: una Piazza Affari senza affari.

Giorgetti tra mille telefonate e un diluvio di emendamenti alla Legge di Bilancio trova il tempo per commentare la situazione con Milano Finanza e promettere: "E' stato prolungato in manovra il credito d'imposta per i costi di consulenza per la quotazione in borsa delle pmi e copre fino a 500 mila euro, con un netto miglioramento rispetto a quanto è stato fatto l'anno scorso. Credo che sia però necessario continuare a incentivare e promuovere anche la cultura per favorire l'ingresso in Borsa delle piccole e medie imprese. Un percorso che è già in atto e che vorrei rafforzare. Altro passaggio importante è quello delle semplificazioni per l'ingresso nei mercati".

Questo giornale lo prende in parola e aggiunge una lista di interventi in forma di appello che il governo Meloni dovrebbe subito mettere in campo per rendere concrete le parole del ministro dell'Economia. Occorre innanzitutto stabilizzare e incrementare il credito d'imposta di 500.000 sulle ipo; rafforzare una concreta educazione finanziaria a partire dalla scuola primaria; adottare con speditezza tutte le norme del Libro Verde sui mercati che questo giornale ha anticipato (si veda il numero del 24 settembre) già elaborato al Mef con molte misure di semplificazione; estendere i benefici fiscali dei Pir e dei Pir alternativi anche a chi possiede più di un piano di investimento; creare un programma stile Elite condotto congiuntamente dal Tesoro, dal Mise e da Unioncamere per selezionare una serie di imprese da quotare in modo che le pmi crescano e si capitalizzino maggiormente; va introdotta la possibilità di quotarsi alle società in house e permesso l'accesso alle Mtf (Multilateral Trading Facilities) a tutte le società a partecipazione pubblica.

Al momento risultano censite alcune centinaia di aziende a totale capitale pubblico detenuto in prevalenza da enti pubblici locali o Camere di Commercio, svariate decine di queste società sono però sane e potrebbero essere oggetto di parziale privatizzazione con l'ingresso di capitale privato al servizio di operazioni di sviluppo a favore dei territori in cui operano. Si potrebbe così creare una piccola seconda ondata di privatizzazioni locali, dopo l'era di Eni, Enel e Finmeccanica avviate ai tempi del governo di Giuliano Amato, ravvivando il perduto amore degli italiani per il listino. L'attuale normativa, ricorda Giulio Centemero (Lega), prevede che le operazioni di dismissione avvengano solo mediante procedure competitive, mentre dovrebbe essere concesso l'accesso ad un mercato regolamentato o all'Egm (Euronext Growth Milan) gestito da Borsa spa. In questo modo alcune decine di società pubbliche potrebbero avviare un percorso di mercato, reperendo risorse per la loro crescita e riducendo la spesa pubblica che serve per alimentarle. Non è un libro dei sogni, basta ascoltare gli uomini di mercato e meno le sirene dell'elettorato autonomo che ha portato Meloni a Palazzo Chigi.

red

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